Sarà mica un pedofilo?
Gennaio 10, 2019
La storia che ti voglio raccontare è la più semplice del mondo e riguarda la mia professione di educatore.
Mi domanderai: dove sta la discriminazione?
Sta nel fatto che l’ho subita, in modo più o meno velato, per il fatto di essere un maschio che lavora in un ambiente prettamente femminile come la prima infanzia, sia in Italia che in Svezia (dove attualmente lavoro).
Questa discriminazione, quando ero nel nostro Bel Paese e lavoravo per alcune cooperative, l’ho percepita solo col senno di poi: ad esempio, tutte le volte che c’erano opportunità di poter lavorare con i bimbi più piccoli, alcuni miei datori di lavoro tendevano a dirottarmi verso bambini più grandi oppure in altri servizi.
Inoltre, è capitato che sia alcuni genitori che qualche adulto esterno non fossero convinti della mia presenza e mi chiedevano “Come mai lavori con i bimbi piccoli?”, come se fosse una cosa strana.
Tutto ciò non è mai capitato quando lavoravo in comunità o in doposcuola con adolescenti: solo quando mi trovavo con bambini in età da scuola materna spuntava il sospetto che io potessi essere pedofilo.
Anche qui, nella grande socialdemocratica e gender-friendly Stoccolma, non sono mancate le discriminazioni, anzi: penso di averne ricevute più che a Bergamo.
Questo perché qui, oltre all’essere uomo, anche il fatto di essere straniero non mi aiuta: mentre i colleghi e i datori hanno sempre apprezzato questa mia diversità e l’hanno incentivata (specie perché italiano e quindi più preparato sulla pedagogia della prima infanzia), molti genitori erano scettici ed è capitato che chiedessero per il figlio il cambio di gruppo classe perché c’ero io.
Quindi non erano le mie presunte qualità lavorative ad essere giudicate, ma il mio non essere una donna svedese.
Fortunatamente non è successo spesso, ma penso che anche una casistica di 1 adulto discriminante su 10 sia comunque pesante, specie nel 2019.