Perdere gli altri o perdere se stessi

Dicembre 20, 2018



Durante tutto il periodo delle medie andavo molto bene a scuola, studiavo volentieri e senza difficoltà, ero tra le prime della classe e tenevo molto ai miei successi scolastici: si può facilmente immaginare che non ci è voluto molto, in prima media, per essere subito etichettata come “secchiona”.

All’inizio mi faceva molto piacere rendermi utile ai compagni in difficoltà, aiutarli con i compiti e lo studio, condurre lavori di gruppo (cose che gli insegnanti stessi spesso mi invitavano a fare), ma ben presto ho notato che questi miei aiuti non erano più apprezzati come prima, venivo soltanto sfruttata per copiare i compiti, per fare ricerche al posto di altri, a tal punto che mi sono chiusa a riccio e ho deciso di non aiutare più nessuno, indistintamente, nemmeno chi con me si era comportato sempre in maniera leale.

Da quel momento è iniziato un vero e proprio incubo: ero vittima di scherzi telefonici, prese in giro, ero diventata la “secchiona che se la tira”, “brava solo lei”, “la stronza”, “quella che non aiuta”.

Sono sempre stata più piccina e minuta per la mia età e, all’epoca, avevo proprio le fattezze di una bambina, perciò per alcuni dei miei compagni di classe più cresciutelli, alcuni dei quali ripetenti, non era difficile sopraffarmi anche fisicamente mentre mi davano qualche nuovo “soprannome”.

Ogni tanto mi sparivano degli oggetti (una volta il portapenne, l’altra il diario, un’altra ancora addirittura il cellulare). Finché in seconda media, per uscire da quella situazione, ho cercato di legare con alcuni degli elementi forti della classe, proprio quelle ragazze da cui (ne ero certa) perlopiù nascevano le prese in giro nei miei confronti.

Così al pomeriggio uscivo con questo nuovo gruppo, di cui non mi piaceva praticamente nulla, con cui non avevo assolutamente niente in comune, ho addirittura fumato qualche sigaretta con loro (cosa che non avrei mai fatto altrimenti) o con cui mi sono spesso allontanata dalla zona in cui i miei genitori mi raccomandavano di stare; trasgredivo insieme a loro solo per la paura di essere ancora vittima di certi scherzi. Finché c’è stato l’episodio che più mi ha fatta sentire in pericolo, ma che per fortuna è stato ciò che ha permesso a me e alla mia famiglia di far arrivare certe cose alle orecchie degli insegnanti.

Una delle mie “nuove amiche” era stata assente da scuola per diverso tempo per un problema di salute, che l’aveva anche costretta qualche giorno in ospedale; dopodiché era tornata regolarmente a scuola e un lunedì mattina l’avevo vista, come sempre, nell’androne di casa di un ragazzo del gruppo, vicino a scuola, davanti a cui passavo abitualmente per raggiungere l’ingresso, poco prima delle 8.00.
L’avevo salutata, lei aveva ricambiato il saluto.
Aveva cappotto, zaino e cartellina di tecnologia, era pronta per entrare a scuola, ma in classe quella mattina, al momento dell’appello, non c’era.
L’insegnante della prima ora, preoccupata che avesse avuto una ricaduta per i suoi problemi di salute, ha chiesto se qualcuno l’avesse vista nei giorni precedenti e io (con poca furbizia, lo ammetto, ma del tutto innocentemente) risposi che l’avevo vista un attimo prima fuori da scuola.
Si era fatto chiaro anche a me, proprio nel momento in cui lo dicevo, che avesse deciso di marinare la scuola, e iniziai davvero ad avere paura: avevo appena fatto inconsapevolmente la spia.

Ricordo che nessuno del mio nuovo gruppo mi rivolse la parola quel giorno.
Al rientro dall’intervallo del mattino, trovai nel diario un bigliettino con scritto: “Sai cosa succede se non ti fai i cazzi tuoi?” e, durante quello del pomeriggio, nella tasca della mia giacca se n’era materializzato un altro che diceva, senza mezzi termini: “Rifallo, e ti ammazziamo!”.

Quello stesso pomeriggio ho raccontato tutto ai miei genitori, che hanno portato queste prove materiali direttamente nelle mani degli insegnanti e della preside: la mia “amica” fu sospesa e, dopo le vacanze di Natale, cambiò scuola, mentre io molto velocemente mi riappacificai con il resto del gruppo e tutti capirono che quella ragazza era stato meglio perderla che trovarla.

Essenzialmente per colpa di questi primi due anni passati con la compagnia sbagliata, ad avere continuamente paura di non dire o fare la cosa giusta, purtroppo ho un ricordo pessimo delle scuole medie: le ho quasi rimosse.

​Mi sono sentita gravemente discriminata per essere volenterosa, studiosa e forse solo un po’ meno grande, grossa e forte degli altri.

Arianna


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