Perché sono una femmina
Giugno 23, 2020
Mi piace camminare. Tantissimo.
Torno da lavoro a piedi stasera.
Finalmente respiro, mi sono detta.
Che cielo pulito, che colori. Finalmente senza quella cavolo di mascherina.
A un certo punto noto una macchina accostata. Quando la raggiungo il ragazzo sul sedile posteriore abbassa il finestrino: “Lo vuoi un passaggio?”
Erano in tre. Tre ragazzi.
Con tono fermo e distaccato gli rispondo “No grazie”.
Immediatamente “Guarda che non siamo dei maniaci”.
Distolgo lo sguardo, ignoro e continuo a camminare, in silenzio.
La macchina si rimette su strada, e mentre accellero leggermente, la sua risposta comincia a scatenare qualcosa in me.
Eccoli di nuovo, poco più avanti.
Ancora, attendono che sia più vicina. Questa volta però mi bloccano il passaggio. Non ho paura ma comincio ad innervosirmi.
Ancora lui, seduto dietro.
Ancora, abbassa il finestrino, e con un sorriso “tranquillo”: “Nessuna chance?”
Ancora, “No”.
Questa volta lo dico con l’indice. E la mia bocca risponde al sorriso. A quel sorriso “tranquillo”.
“Ok ciao cara.” Sorride di nuovo.
“Ciao.”
Se ne vanno.
“Lo vuoi un passaggio? Guarda che non siamo dei maniaci.”
Ci ripenso, lo risento.
Io non so chi o cosa siete.
Ma so cosa ho provato.
Non avevo paura. Quando ho notato di nuovo la macchina ho sentito un prurito.
Ma non paura perché sapevo di non essere in mezzo al nulla, non molto distante da lì avevo incrociato diverse persone.
Però come vorrei che l’assenza di paura fosse dipesa… dal nulla.
“Paura di chi? Di che? Per cosa? Perché.”
Quanto desidero la mancanza di almeno 4-5 possibili finali che si sono automaticamente materializzati nella mia mente nel giro di un nano secondo.
“Chissà come sarebbe potuta andare, cosa ti sarebbe potuto succedere.
Perché sei una femmina.”
Come vorrei un mondo in cui una ragazza, una donna, sia libera di camminare in una strada affollata o nel deserto, che sia notte o giorno, senza ombre indesiderate alle sue spalle.
E invece no.
“Guarda che non siamo dei maniaci”
Io non so chi siete, cosa siete. Non vi conosco. Non so cosa vi abbia spinti ad accostare e parlare. Due volte. Quale facilità.
Non so cosa ci fosse dietro. Una scommessa? Noia di una serata vuota? Non lo so.
È finita con un ciao. Esternamente nessun livido. E magari non era neanche il vostro obiettivo. Magari.
Magari era tanto per passare il tempo.
Tanto per.
Ma so cosa ho provato io. E la ferita dentro c’è.
Anche se ti ho risposto con un sorriso alla fine perché ho percepito il tuo “tranquillo”, perché speravo fortemente fosse così, la ferita dentro c’è.
Quando l’ho raccontato a casa, la risposta di mio padre è stata “Purtroppo la realtà è questa, va così, sei stata fortunata. Quando hai bisogno dimmelo.”
Mi vuoi bene papà. E vuoi proteggermi.
Ma no, non festeggio perché “sono stata fortunata”. Non lo accetto.
“Va così.” Voglio rifiutare questa assurda rassegnazione all’assenza di parità di genere.
Perché sì, è esattamente di questo che si tratta. E la strada è ancora così dannatamente lunga.
Non ci sto papà.
“Guarda che non siamo dei maniaci.”
Io non lo so chi o cosa siete.
Ma so cosa ho provato io.
Chiara Giordano