La violenza dominante dei consigli non richiesti
Giugno 8, 2020
Qualche anno fa ho lavorato per un lungo periodo in Francia, e il lavoro è stato intervallato da periodi di disoccupazione. Per usufruire del sussidio di disoccupazione, avevo l’obbligo di partecipare a degli atelier, organizzati da Pole Emploi, il collocamento francese, che avevano lo scopo di orientare le persone alla ricerca di un lavoro e ad aiutarle a scrivere un CV.
Nel corso di un atelier con un formatore, ho assistito a una scena che mi fa pensare ancora oggi, a distanza di un po’ di tempo.
Eravamo circa 15 persone e il formatore, dopo avere illustrato il programma della giornata, ha parlato con ciascuno di noi, chiedendoci quale fosse il nostro percorso fino a quel momento, e dandoci qualche consiglio pratico per cercare un lavoro. Molto gentile e rispettoso con tutti, fino a quando ha parlato con una giovane donna che portava il velo, un semplice foulard colorato.
Dopo i primi cinque minuti, in cui ha fatto parlare lei, che aveva avuto esperienze come operatrice culturale in un museo, l’ha interrotta per dirle: “Signorina, innanzitutto vorrei darle un consiglio: se toglie il velo avrà molte più opportunità di trovare lavoro”.
Lei mantiene la calma ma si irrigidisce. “Beh, non vedo l’attinenza, è una scelta mia e non do fastidio a nessuno”.
“Certo”, insiste il formatore, “ma chi visita il museo dove lavora può sentirsi infastidito dal suo velo, se non la conosce. E’ un simbolo forte”.
“Sì, ma è un simbolo mio, se hanno dubbi possono chiedermi perché lo porto”.
A questo punto il formatore ha fatto una cosa molto grave, secondo me. Ha coinvolto i presenti nella discussione sull’opportunità di portare il velo, mettendo letteralmente in vetrina la vita privata di una persona di cui non conoscevamo neanche il nome.
Lei, fortissima, continuava a sorridere e non si scomponeva, ma io ho pensato che per lei quello doveva essere il suo quotidiano.
E mi sono sentito in colpa io.
Vincenzo Angelo