La forza di una donna
Ottobre 21, 2018
Questa è la storia di una donna, di una mamma, di una lavoratrice e di una forza mai perduta.
Quando ero piccola vedevo mia mamma come un uragano, sempre di fretta, con la sua macchinina bianca e i diversi animali che la seguivano da fedeli compagni. Era ed è la mia roccia, il mio punto fermo in una città che, all’epoca, era sconosciuta.
Per la mia famiglia, le scuole elementari rappresentavano l’essere ufficialmente cittadini di quel paese. Non sono mai stata una grande amante della scuola, ma mi piaceva stare con i miei compagni, soprattutto mi piacevano le ore di teatro e l’ora della mensa, tranne le carote bollite, quelle no, proprio non le sopportavo. Ed è proprio in mensa, momento rilassante della giornata con cui stare con i compagni, che venne fuori la prima discriminazione.
Non potevo sedermi con i miei compagni, non potevo mangiare al loro tavolo e parlarci perché non avevo i jeans firmati. Una bambina non vede l’assurdità del fatto, ma l’esclusione ad un momento di condivisione.
Il giorno dopo avevo indosso un paio di jeans qualsiasi tutti colorati e scritti, nella gamba destra c’era pure scritto il mio nome, sulle ginocchia due grandi fiori gialli… quanto li ho amati. Mia madre, tornata da lavoro, me li aveva comprati e colorati durante la notte per farmeli indossare il giorno dopo a scuola. Sono entrata in mensa con lo stesso passo che una modella tiene durante una passerella, quel giorno mangiai con le mie compagne, mi avevano “accettata”.
Qualche tempo dopo, le discriminazioni assunsero aspetti più fini, maligni e “contaminati”. Quel pomeriggio non potevo mangiare con il gruppetto perché io non avevo il papà.
Fu un duro colpo per mia mamma. Non c’erano jeans, né fiori che avrebbero trovato la soluzione al fatto, se non il percorso migliore: la forza, il coraggio e la consapevolezza di sé.
Non voglio credere che quelle parole fossero frutto di pensieri di bambini, ma bensì di genitori che vedevano in mia madre una donna non capace di crescere dei figli, di prendersi cura di sé e di loro, di conciliare lavoro e casa, ma soprattutto etichettandoci come coloro che “avrebbero fatto una brutta fine”.
Con gli occhi di adesso, posso dire che quello fu il regalo più bello che mia mamma potesse farmi: trasmettermi coraggio, forza, consapevolezza delle proprie potenzialità, della propria persona, rispettando sé stessi, il proprio passato e le persone intorno a me, insegnandomi a fare sempre ciò in cui credo, a prescindere dalle parole di chi non ci conosce.
Questa è la storia a lieto fine di una famiglia dove c’è rispetto nei confronti degli altri, amore, impegno, vedute ampie e diverse. Oltre al fatto che a breve prenderò una seconda laurea, a chi pensava che non ce l’avremmo fatta vorrei dire solo una cosa: siamo una famiglia felice.