Giustizia
Novembre 7, 2018
Per solo tre mesi ho lavorato in un Tribunale, con un contratto a termine. Tra i miei incarichi (addetta agli ufficiali giudiziari) avevo il compito di chiamare imputati e testimoni in Aula durante le udienze, per essere condotti davanti al Giudice.
Era un processo per furto in casa di una signora non giovane: delle donne entrarono con la scusa di mostrare della biancheria da vendere e trafugarono dei beni nell’alloggio.
Avevo già condotto dentro l’imputata assieme a delle amiche o parenti, con le quali sarebbe stato fatto il confronto all’americana.
Per i testimoni prima delle udienze erano disponibili delle stanze separate ma la confusione era sempre notevole e in realtà davanti all’Aula si assiepava una folla poco gestibile, in cui tutti erano accalcati.
Il Giudice mi invita quindi a far entrare l’anziana, che era chiamata a testimoniare per riconoscere l’imputata come colei che le era entrata in casa il giorno del fatto. Esco a chiamarla e la trovo letteralmente circondata da alcune donne che le continuavano a dire, con un fare tra il suadente e minaccioso: “Ma guarda che non è lei, ti sbagli…”.
Io mi accorgo dell’atteggiamento e l’unica cosa che riesco a fare è dir loro: “Smettetela, lasciatela stare”, prima di invitarla a entrare in Aula.
Risultato: l’anziana, terrorizzata, non ha nemmeno voluto entrare a testimoniare, ha messo la testa dentro dicendo “No no mi sono sbagliata, perdono tutti, lascio perdere”. Il Giudice ha risposto: “Va bene, va bene”.
Mi rimprovero per non avere riferito con più decisione al Giudice quello che avevo visto, e probabilmente mi sono rivolta alla persona sbagliata: difatti il mio ragazzo, avvocato, mi disse che avrei dovuto dirlo al Pubblico Ministero, che avrebbe avuto la possibilità di accusare in flagranza quelle donne di intimidazione.
Quindi io sono rimasta lì, scornata, con l’impressione di avere assistito a una sconfitta dello Stato e dell’umanità.