Essere se stesso e sentirsi diverso

Ottobre 20, 2018



Siamo in un Paese di provincia del Sud. È la storia di un ragazzo adolescente di nome R che crescendo si sente diverso, anche se forse diverso non lo è mai stato e non lo sarà mai. R inizia a vedere i suoi amici e compagni invaghirsi di ragazze; si fidanzano e iniziano a vivere la loro vita sentimentale, affettiva e sessuale nella massima libertà.

Lui invece si sente legato, avverte dentro di sé che tutto questo non fa per lui. Inizia a sentirsi diverso, a confidarsi con me, il suo migliore amico: mi parla delle sue pulsioni sessuali e del suo modo “strano”, a suo dire, di vivere la sessualità.

Con il tempo R arriva a capire che le ragazze non fanno per lui, e che piuttosto prova ammirazione e piacere nei confronti dei ragazzi più grandi che non devono fare più i conti con l’acne giovanile e l’eccessiva sudorazione, ma piuttosto con la loro maturità e il loro corpo che li rende più attraenti.

Ricordo che lui si sentiva diverso, non riusciva a vivere liberamente il suo essere, mi diceva “lo sai solo tu, non lo sanno nemmeno i miei genitori”. Solo Dio sa quante volte gli ho chiesto di essere libero, di dirlo a casa e ai nostri amici per essere pienamente fino in fondo se stesso, senza sentirsi discriminato, diverso.

Inesorabilmente passano gli anni e “il suo lato oscuro” si ingigantisce, lo avvertivo nella sua inquietudine, nel suo trascorrere intere giornate da solo chiuso in casa.

Avrei voluto aiutarlo, ma ricordo che mi sentivo a disagio perché non potevo dirlo a nessuno: non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, non sarebbe stato corretto, era il mio migliore amico.

Finalmente il 22 maggio 2009, in un giorno di primavera, quelli in cui il sole rende tutto più limpido, R. decide di invitarmi a pranzo a casa sua dopo scuola. Succede quello che mai mi sarei potuto immaginare.

Dopo aver mangiato il primo si alza in piedi e dice ai suoi genitori e alla sorella: “Sono omosessuale! Sì, mi piacciono i maschi”.

Ricordo il padre che si alzò da tavola senza dire nulla. La mamma stordita cercava di fare da collante alla notizia che il marito mai avrebbe pensato di dover udire. La sorella, forse l’unica che capiva fino in fondo, lo abbracciò.

Finalmente R poteva essere lui stesso, si era liberato. Doveva dirlo solo agli amici e così fece la sera, ma l’annuncio si rivelò una catastrofe; d’altronde in un paese di provincia del sud R non si sarebbe dovuto aspettare di meglio.

Al suo annuncio subito iniziarono le prese in giro “frocio”, “ricchione” o ancora “finocchio”, fu un bagno di acqua fredda per R e per me che cercai di difenderlo ma arrivai anche io a prendermi più di un insulto.
Da quel momento in poi fu letteralmente messo da parte dai nostri amici, sia a scuola, sia quando ci incontravamo il sabato sera per andare a mangiare una pizza. Ogni incontro finiva con le solite battutine fuori luogo di un gruppo di ragazzi che era vittima di una cultura retrograda e selettiva che lo faceva sentire discriminato, messo da parte, considerato diverso, inferiore a causa delle sue inclinazioni sessuali.

Dopo la maturità ha sentito l’esigenza di cambiare aria, di cambiare vita per provare ad essere R fino in fondo. Si è laureato a Milano in design e lavora in un’azienda di marketing; da un anno vive con il suo compagno una vita libera e sincera nei confronti di se stesso e della società.

Ogni tanto ci sentiamo, più raramente ci vediamo, ma l’affetto resta quello di sempre.

Adesso, da giovani che tendono verso l’età adulta, cerchiamo di vivere la nostra esistenza mettendo al centro delle nostre vite la felicità e l’amore, di qualsivoglia natura.

Sono e resteranno i sentimenti e le relazioni, quelle vere, a dare senso alle nostre vite.



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