Tre mini serie autobiografiche da non perdere
by Ilaria Nassa / Aprile 16, 2020
Ho trascorso la prima parte della quarantena a guardare (quasi) tutte le serie tv disponibili su Netflix. Dopo due settimane di fruizione visiva bulimica, ho sentito la necessità di tornare a selezionare i contenuti che più ritenevo interessanti.
È un tempo strano questo: stiamo ricostruendo la nostra routine e il nostro tempo in modo del tutto inedito.
I media non sono mai stati più importanti e essenziali come adesso. Impossibilitati ad andare al cinema, al teatro, ad una mostra d’arte, tuttavia abbiamo l’opportunità di rimanere in contatto con le narrazioni altrui attraverso i social network e le piattaforme di streaming.
Ecco perché ho pensato di selezionare ben tre mini serie autobiografiche su Netflix che non dovete assolutamente perdere.
Ryan (Ryan O’Connel), ragazzo omosessuale affetto da una lieve paralisi cerebrale, mente sulla sua condizione per avere un posto di lavoro come articolista in un’importante rivista online. In otto episodi da 15 minuti ciascuno, Ryan, che è sia l’interprete sia il regista della serie, ci racconta in modo leggero e divertente di come la sua vita sia influenzata dalla disabilità, non percepita subito dallo sguardo altrui. Infatti, il tema principale è la percezione del proprio corpo in contrapposizione alla percezione dello sguardo degli altri sul corpo del protagonista.
Questa serie televisiva statunitense si basa sul libro I’m Special: and Other Lies Tells Ourselves (2015), scritto dallo stesso Ryan O’Connell.
Ciò che si apprezza maggiormente, quindi, è che la disabilità è raccontata e messa in scena da chi la vive quotidianamente.
Impossibile ignorare questa serie americana e tedesca, tratta dal libro autobiografico di Deborah Feldmans Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots. Ha fatto il suo debutto il 26 marzo e non se ne sta ancora smettendo di parlare.
Esty (Shira Has), una giovane donna sposata di 19 anni, decide di lasciare suo marito e la sua comunità ortodossa che si trova a Williamsburg, a Brooklyn, nella città di New York. Con l’aiuto della sua insegnante di musica, riesce a scappare a Berlino, dove si trova la madre. Anche la donna, a sua volta, era scappata anni prima dalla comunità e adesso vive nella capitale tedesca con la compagna.
Viviamo la storia di Esty in parallelo: passato e presente ci vengono mostrati come lo srotolarsi del filo di Arianna all’interno del labirinto di intrighi e intrecci di questa vicenda. Vediamo il momento del matrimonio di Esty con suo marito, Yanky (Amit Rahav), e in parallelo il momento in cui Esty si toglierà la parrucca, oggetto che è costretta ad indossare nella comunità. Fondamentale è anche il personaggio del cugino Moshe (Jeff Willbush): Moshe era infatti anni prima scappato dalla comunità per poi ritornare come il figliol prodigo. Sarà lui a essere affiancato a Yanky lungo il viaggio verso Berlino per riportare Esty a New York.
È una serie da brividi, strappalacrime, che ci pone interrogativi circa la nostra consapevolezza della libertà, la nostra forza e il nostro coraggio. Per tutto il tempo non si fa altro che tifare per la nuova vita di Esty e a sperare che possa ricongiungersi con la madre.
I sentimenti e le emozioni non sono scontati e nulla viene lasciato al caso. La comunità ebraica qui descritta è frutto di un sapiente studio e ricerca.
Vedere per credere.
Il 20 marzo ha debuttato anche questa importante serie americana, basata sull’autobiografia di A’Leila Bunles, On Her Own Ground. É la storia mai raccontata di Madam C. J. Walker, la prima grandissima imprenditrice nera di cosmetici. Madam (Octavia Spencer) è una domestica che riesce, dopo un incontro fortuito, a formulare una crema per capelli afro. Fino a quel momento, infatti, i cosmetici non erano studiati per le donne nere. Madam C. J. Walker non è stata la prima donna a crearli in casa e a venderli nel vicinato, ma la prima ad avere l’intuito e l’ambizione imprenditoriale per mettere su una fabbrica e dare lavoro a donne nere, con una paga tre volte superiore a quella che all’epoca spettava loro.
Con le sue sole forze è riuscita quindi a diventare la prima donna nera miliardaria.
La forza di queste storie sta nel fatto che siano i protagonisti della vicenda o delle persone strettamente connessi a questi a raccontarci le vicende.
Queste tre mini serie autobiografiche ispirano forza, coraggio e autenticità. Ed è per questo che possono essere considerate a tutti gli effetti storie contronarranti.