Ogni volta che ti picchio

by / Agosto 7, 2020



Quando la casa editrice ci ha proposto di leggere Ogni volta che ti picchio di Meena Kandasamy ho chiesto subito alla redazione di poter essere io a scrivere l’articolo.
Prima di riconoscermi come femminista, non avevo una reale consapevolezza delle dinamiche della violenza di genere: sentivo dentro di me che se mi fossi istruita sarei stata al sicuro, la mia intelligenza e la mia cultura mi avrebbero aiutata a riconoscere e a evitare le relazioni pericolose.
Ovviamente mi sbagliavo.

Il Bias dell’Ottimismo è quell’errore di valutazione che porta a pensare che gli eventi negativi accadano sempre alle altre persone: malattie, morti, disgrazie. Una convinzione, insieme a quella di avere sempre il controllo della situazione, che porta a pensare che nulla potrà farci del male perché saremmo in grado di prendere la decisione giusta o di trovarci al posto giusto al momento giusto.
È difficile pensare le nostre vite in balia del caso ed è per questo che libri come questo devono essere pubblicati e letti da più persone possibili.

Meena Kandasamy è una scrittrice, traduttrice e attivista, scrive romanzi, poesie, saggi ed è sopravvissuta a un matrimonio violento.
Però non fate il mio errore e non consideratelo un memoir; la storia raccontata dall’autrice ha una valenza assolutamente finzionale: racconta la storia di una violenza che contiene al suo interno l’intero significato della Violenza stessa , è la drammatizzazione di qualcosa più grande di tutte noi e che può colpire tutte indipendentemente dalla nostra intelligenza e il nostro pudore.

La scrittrice Meena Kandasamy (© The Guardian)

La protagonista del libro è senza nome, è una scrittrice traduttrice e femminista ma non è Meena Kandasamy, anche se la sua storia riverbera all’interno di queste pagine. Non perché la scrittrice abbia lasciato qua e là degli indizi come se fossero Easter Egg, ma perché la violenza ha delle dinamiche universali che permettono ad ciascuna di noi di battezzare la protagonista con il proprio nome.

“There was not a line of falsehood in that book”, it was not a memoir. “A memoir for me means a person’s life story; if I was going to write my actual life story, I would condense this entire marriage into a footnote.”

(Meena Kandasamy in risposta a un giornalista)

In questa rappresentazione della (sua) violenza, la Scrittrice decide di raccontare la sua storia per non permettere alla Madre di imporre la Sua Versione Ufficiale, il suo racconto della violenza subita dalla figlia, un racconto che la estromette, lei che la violenza l’ha vissuta per tre mesi.
Così comincia la discesa negli inferi: il contatto, l’innamoramento, il matrimonio, l’isolamento e la rottura. La protagonista mentre scrive la sua storia rilegge i vissuti, segue le tracce della violenza fin dai primi approcci: i comportamenti ambigui, la svalutazione fino all’escalation dove le tracce si sono trasformate in insulti, percosse e stupri.
La violenza è come un carcere di massima sicurezza, un isolamento ad ogni possibile livello: digitale, fisico, sociale, linguistico, convenzionale.
È proprio quest’ultimo aspetto ad avermi colpita più di tutto.

Il ‘fenomeno della politeness’ o ‘della cortesia’ l’ho sempre considerato un grande risultato della nostra civiltà. […]. Due sociolinguisti, Penelope Brown e Stephen Levinson […] hanno proposto la teoria che segue. La loro ipotesi: le persone usano la cortesia come forma di inganno reciproco e consensuale per aiutarsi l’un l’altra a salvare la faccia. Traduzione: a differenza di quanto accade in un esame, nella vita reale nessuno tu farà domande alle quali potresti avere difficoltà a rispondere. […] Nel costrutto linguistico non esiste nulla in grado di mandare un segnale, di far lampeggiare un codice rosso nel mezzo di un cortese scambio di battute, niente che interrompa la messinscena della gentilezza al punto da essere percepito come un segreto grido d’aiuto. (p. 67-68)

Finita la lettura sono ritornata con il pensiero alla persona che ero prima del femminismo e ho provato a visualizzarla: uguale a me, con qualche anno di meno e l’armatura anti-violenza fatta della carta dei titoli di studio e dei libri letti.
Se avessi potuto incontrarla le avrei messo tra le mani questo libro.
Ed è quello che voglio dire con questo articolo: leggete Ogni volta che ti picchio di Mena Kandasamy e, dopo che lo avete fatto, passate il favore.



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