La violenza sulle donne non è solo un’emergenza, ma un problema sistemico

by / Novembre 25, 2020



Oggi si celebra la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, ricorrenza istituita nel 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

La data ricorda l’efferato omicidio delle sorelle Mirabal, avvenuto il 25 novembre del 1960, quando, in viaggio per andare a trovare i loro mariti detenuti nella prigione di Puerto Plata in Repubblica Domenicana, furono bloccate dagli agenti del Servizio di Informazione Militare che le stuprarono, le uccisero a bastonate e ne occultarono i cadaveri.

Da anni il 25 novembre costituisce l’occasione in cui enti, associazioni e istituzioni prendono posizione dichiarando la propria contrarietà ad ogni forma di violenza subita dalle donne.

Portare l’attenzione su questo fenomeno è necessario, soprattutto se consideriamo che in Italia sono circa 7 milioni le donne che hanno subito una qualche forma di violenza e che, mediamente, ogni tre giorni, una muore per mano del proprio partner o ex. Semmai, dovremmo chiederci perché si debba aspettare la giornata del 25 novembre per alzare la voce e ricordare i tragici effetti della gender based violence.

Personalmente, lavoro in questo contesto – e segnatamente a contatto con i Centri Antiviolenza – da circa 10 anni e trovo retoriche e dannose le iniziative estemporanee, promosse solo in quest’occasione (o al più l’8 marzo). La violenza di genere è un fenomeno trasversale e strutturale: raccontarlo come se fosse “un’emergenza” ne altera l’immagine riducendo il peso del problema .

Per contrastare la violenza di genere, le comunicazioni istituzionali servono solo se si accompagnano ad un impegno reale, portato avanti giorno per giorno: finanziare le attività dei Cav, introdurre l’educazione affettiva e sessuale, contrastare gli stereotipi di genere, favorire il work/life balance.

Se la violenza contro le donne è sostenuta da un sistema discriminatorio e patriarcale che ci penalizza e ci oggettifica in quanto donne, l’unica soluzione è quella di potenziare le occasioni formative e proporre narrazioni alternative che insegnino la cultura del rispetto, promuovendo al contempo le pari opportunità.

Mi piacerebbe che il 25 novembre fosse solo un’occasione in più per approfondire queste tematiche ed è per questo che, in una giornata simbolica come quella di oggi, vorrei proporvi alcune letture per esplorare il tema della violenza contro le donne da prospettive diverse.

La violenza è un fenomeno strutturale e le sue radici sono da rintracciare nelle discriminazioni subite abitualmente dalle donne. Questo volume le illustra graficamente, attraverso numerose infografiche di grande impatto visivo e fa capire egregiamente le disparità vissute dalla popolazione femminile in ogni contesto, da quello domestico a quello professionale.

Tendiamo a dare maggior risalto alla violenza fisica, quella che lascia il segno. Eppure, essa non nasce dal nulla. La sostiene un contesto fortemente impari che porta le donne a farsi carico di molti problemi, dal carico mentale in famiglia alla gestione delle emozioni del partner.

Emma Clit, blogger e fumettista, le illustra egregiamente. Leggendolo riderete molto, poi probabilmente vi arrabbierete ma vi assicuro che, dopo, la vostra prospettiva su molti aspetti della vita di ogni giorno non sarà più la stessa.

Se è vero che, come dice l’autrice, che “noi siamo le parole che usiamo”, dobbiamo dedurre che il nostro paese è popolato per lo più da misogini sessisti. In questo volume, che ormai ha qualche anno ma resta attuale, Graziella Priulla ci ricorda che la violenza subita dalle donne non è svincolata da quella linguistica. Curare le parole diventa quindi un gesto rivoluzionario per promuovere la parità.

Un altro volume per parlare di linguaggio, questa volta nelle sue sfumature di genere. Perché molte persone storcono il naso all’idea di usare la parola “ingegnera”, ma sono assolutamente a proprio agio nel pronunciare “maestra” o “segretaria”? Considerando che, tecnicamente, la nostra lingua concede questa possibilità, l’autrice suggerisce di scavare più a fondo: il problema è culturale. Se ciò che non nominiamo non esiste, escludere le donne dalle declinazioni di genere del linguaggio diventa un gesto di potere e di discriminazione. Un volume da leggere, per ricordarci che il primo modo di combattere la violenza è dando riconoscimento e soggettività al genere femminile (anche con le parole).

In una data simbolica, un atto simbolico: ascoltare le voci delle survivors.

In questo volume le autrici hanno intervistato alcune donne che sono riuscite a sfuggire alla violenza domestica ricominciando un’esistenza lontano dal proprio abusante. Un libro che racchiude testimonianze forti per ricordarci che il percorso di fuoriuscita dalla violenza non si risolve facilmente, come spesso ci dicono i messaggi delle pubblicità progresso. La narrazione deve essere veritiera, affinché le donne possano affrontare in modo consapevole un momento delicato della loro esistenza.

Uscire dalla violenza si può, narrarla in modo diverso, anche.



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