La tragica attualità delle mutilazioni genitali femminili

by / Febbraio 8, 2020



Le mutilazioni genitali femminili sono un fenomeno vasto, complesso e tristemente odierno.

Infatti, include diverse pratiche che vanno dalla parziale alla totale rimozione dei genitali femminili esterni, finora praticate su almeno 125 milioni di donne (dati Unicef). Si tratta di una violazione dei diritti umani, strettamente correlata alla discriminazione di genere e alle disparità tra i sessi.

Nonostante le campagne informative, nonostante molti Paesi le abbiano rese illegali, queste pratiche continuano ad esistere (dati OMS): si calcola che ogni anno circa tre milioni di bambine sotto i 15 anni si aggiungano a queste statistiche. Inoltre, in alcuni Stati del Corno d’Africa (Gibuti, Somalia, Eritrea), in Egitto e in Guinea l’incidenza del fenomeno rimane altissima, toccando il 90% della popolazione femminile. In molti altri, invece, le mutilazioni riguardano una minoranza – fino ad arrivare a quote dell’1-4% in paesi come Ghana, Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger.

I numeri (dati Onu Italia)

  • nel mondo, almeno 200 milioni di donne e ragazze in vita oggi hanno subito qualche forma di FGM;
  • le ragazze di età pari o inferiore ai 14 anni sottoposte a FGM sono 44 milioni; la prevalenza maggiore di FGM effettuate in questa età avviene in Gambia, con una percentuale del 56%, in Mauritania con il 54% e in Indonesia, dove circa la metà delle ragazze di età pari o inferiore a 11 anni ha subito tale pratica;
  • tra i Paesi con maggiore prevalenza di donne e ragazze tra i 15 ed i 49 anni sottoposte a FMG sono la Somalia, con il 98%, la Guinea, con il 97% ed il Gibuti con il 93%;
  • le FGM sono prevalentemente eseguite su giovani ragazze in un periodo che va dall’infanzia ai 15 anni;
  • le FGM causano gravi emorragie e problemi di salute, comprese le cisti, le infezioni, l’infertilità nonchè le complicazioni al parto, aumentando il rischio di morte del nascituro.

Un fenomeno che ci riguarda

Ad una lettura superficiale sembrerebbe che il fenomeno non ci coinvolga, trattandosi di una pratica che, unendo motivazioni sociali, pratiche tribali e ritualità di matrice religiosa,  si effettua in paesi lontani da noi.
Al contrario, in ragione dei fenomeni migratori, si stima che in Italia vivano almeno 35mila donne abbiano subito queste mutilazioni durante l’adolescenza. Inoltre, essa continua ad essere eseguita clandestinamente anche qui, soprattutto in quelle famiglie strettamente ancorate alle pratiche tradizionali.

Ci teniamo a presentarvi la storia di alcune persone che si stanno impegnando a contrastare il fenomeno.

La storia di Lucrezia e Omar

A Firenze, la dottoressa Lucrezia Catania insieme al marito Omar Abdulcadir, entrambi ginecologi, agli inizi degli anni 2000 hanno aperto per primi un reparto all’Ospedale di Careggi dedicato alla de-infibulazione. In un’intervista di qualche tempo fa, realizzata al Forum della Salute a Firenze, i due medici raccontano che presso l’ambulatorio hanno eseguito più di 200 deinfibulazioni. Tutte le donne operate hanno scelto di prendere le distanze da questa pratica mettendo al riparo le loro figlie. 

Segno, quindi, dell’importanza dell’educazione e della formazione ai rischi che questa pratica – spesso eseguita in maniera acritica per aderire alle tradizioni – nasconde.
L’azione dei due medici, quindi, non è solo quella clinica ma soprattutto quella educativa.

La storia di Ledi

Ledi Meingati è una donna Masai che dal 2011 racconta quanto subito quando era solo una bambina.
“Fu terribile, per tre mesi ho continuato a sanguinare”.
Leidi racconta di come avvenne la “cerimonia” che doveva segnare il suo passaggio alla vita adulta. Le donne anziane della famiglia, dopo averla condotta nel luogo preposto, la spogliarono e cominciarono a buttarle addosso acqua fredda, tenendola immobile fino a quando la mammana – la donna deputata al taglio- non ebbe finito.
“Ricordo che mi facevano bere il sangue delle mucche per riprendere le forze, io sentivo un dolore che non passava mai. Mi sono sposata, durante i rapporti il dolore era fortissimo. E così al parto, per ognuno dei miei cinque figli. Perciò ho deciso di alzare la voce e raccontare la mia storia: voglio che nessun’altra bambina debba soffrire ciò che ho patito io, così ho iniziato a parlare alle ragazze, alle donne nei villaggi per far capire quanto sia pericolosa questa pratica. E agli uomini, perché capiscano di dover accettare in spose donne non mutilate. Solo cambiando la cultura di tutti potremo salvare le donne”.

È importante cambiare la cultura perché, anche nei Paesi in cui la pratica è fuori legge, in realtà viene tollerata e questo atteggiamento fa si che il fenomeno non si arresti. 
È  importante trovare i luoghi giusti in cui ricevere informazioni e formazione, è importante conoscere chi si occupa di contrastare questo fenomeno con l’informazione, l’educazione, l’attivismo.

È importante continuare a parlarne.

​Alessia Dulbecco


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