
La mimosa è un simbolo sovversivo, ma ce lo siamo dimenticato
by Ylenia Parma / Marzo 8, 2020
L’8 Marzo si celebra la Giornata Internazionale della Donna, una ricorrenza che ancora oggi si porta dietro molti stereotipi sessisti.
Le vere donne non vanno in discoteca a divertirsi…
Ormai uomo e donna sono uguali, basta con questa festa!
Perché non festeggiamo anche gli uomini?
Allo stesso tempo, è percepita erroneamente come un San Valentino 2.0 non con rose e cioccolatini, ma con mimose acquistate all’ultimo minuto per poter dire “ehi, io sì che rispetto le donne!”.
Col tempo, il significato dell’8 Marzo si è sbiadito, spesso divenendo niente più che una festa di un modello specifico di donna, ossia quella voluta dalla società patriarcale: bella, morigerata, madre, moglie, fidanzata, angelo del focolare, sensibile, empatica, emotiva, ecc…
Ma cosa rappresenta davvero?
L’8 Marzo nasce negli Stati Uniti nel 1909 come festa politica. È importante perché, più che una festa da celebrare, è la Giornata Internazionale in cui si riflette su quante conquiste sociali, economiche e politiche la condizione femminile ha raggiunto nel tempo; su quanto le donne siano state e siano ancora oggetto di discriminazioni e violenze in quasi tutte le parti del mondo; su quanta strada sia ancora necessario percorrere per raggiungere la piena parità.
In moltissimi paesi, questa giornata è accompagnata da eventi, conferenze, manifestazioni che riguardano il femminismo, puntando il riflettore sui diritti delle donne nel globo.
E allora perché la mimosa?
Il fiore di mimosa non è stato scelto a caso – e no, non esiste nessuna fabbrica che sia bruciata e alberi di mimosa piantati per onorare le donne decedute.
Inizialmente, l’8 marzo fu una data scelta fra tante per puntare l’attenzione sulle esigenze salariali, politiche e sociali delle donne in un momento storico in cui coesistevano delitto d’onore, mancata parità salariale, impossibilità di abortire e divorziare.
Dopo la guerra, in Italia cominciarono i primi movimenti e i primi riconoscimenti della mancata parità tra uomo e donna. Le attiviste riconobbero che serviva un simbolo, e si pensò ad una pianta, ad un fiore. È stato a quel punto che Teresa Mattei, Teresa Noce e Rita Montagnana, tre donne italiane appartenenti all’Udi (Unione Donne Italiane), scelsero proprio la mimosa.
Il motivo era apparentemente molto semplice: si trattava di un fiore che nasceva spontaneamente nelle campagne, povero e accessibile a tutti, dal colore e dall’odore così intensi da non lasciarlo inosservato. Soprattutto, un fiore “collettivo”: tanti piccoli fiori che creavano una grande ramo.
Nonostante l’idea di rendere questo simbolo meno “politico” accostandolo alle virtù femminili come la grazia e la sensibilità, la mimosa divenne presto sovversiva: le donne che la indossavano venivano fermate per strada e prestò scattò il divieto di mostrarsi in pubblico con un ramo del fiore al petto.
Portare la mimosa divenne a tutti gli effetti un atto coraggioso e di emancipazione, un modo per le donne di poter dire “io non arretro”, una soluzione per scuotere l’opinione pubblica e sensibilizzare sui diritti negati alle donne e sulle discriminazioni quotidiane.

La partigiana Marisa Rodano (a sinistra), in Memorie di una che c’era, afferma che questo coraggio e questo senso di ribellione delle donne “dovrebbe ancora rappresentare la Festa della donna: un’occasione di riflessione e di rivendicazioni quanto mai necessarie oggi, nell’attuale crisi sociale, economica e politica, dove il diritto alla maternità è un privilegio di chi ha contratti dignitosi; dove i lavori condannati al precariato sono quelli con maggiore impiego di personale femminile: servizi, assistenza, educazione; dove il matrimonio e il ruolo da casalinga sembrano gli unici orizzonti desiderabili o quanto meno possibili per il “secondo sesso.”
Sarebbe bello se la narrazione femminista ripristinasse al simbolo della mimosa l’attenzione che merita – un’attenzione che ne ricordi la storia e ne riconfermi il suo valore politico, sovversivo e solidale.