Cagna è un romanzo che parla di tutte noi
by Ylenia Parma / Dicembre 19, 2020
Leggendo il romanzo di Louise Chennevière, mi sono sentita accolta, sono sprofondata in una dimensione di verità e al tempo stesso di crudezza: è come se attraverso la lettura di quelle pagine, lucide e disinibite, si fosse creata una sorta di magia, un fil rouge che unisse la mia personale dimensione di donna a quella di tutte le donne del mondo, passate e presenti.
Cagna mi ha colpito molto da subito, sin dal titolo, sin dalla copertina. Un foglio bianco con questa parola evidenziata di rosso. Una parola che si utilizza per discriminare le donne, una parola potente. Una parola che in questo testo è contronarrante, poiché sono le donne a dargli significato attraverso le loro storie, a possederla e allo stesso tempo a sentirne tutto il peso. Ma questo peso viene gridato: le donne parlano, accusano, raccontano, si riappropriano delle voci di più donne. E ci costringono ad ascoltarle.
Le storie di Cagna parlano di donne. Sono tante vite allo specchio che si raccontano, come in un diario segreto. Sono madri, amanti, liceali, dee, prostitute. Donne. Ogni narrazione, cruda e delicata al tempo stesso, è una narrazione universale, in cui chi narra mette al centro il proprio corpo, se ne riappropria, anche se è in frantumi, devastato, scarnificato.
E mentre queste donne narrano i loro vissuti, le loro ferite sono anche le nostre, delle donne a noi care, delle situazioni che abbiamo vissuto, di quelle che avremmo potuto vivere in quanto donne.
Perché è di violenza di genere e maschilismo che si parla: racconto dopo racconto, l’autrice ci narra tutte le forme di asservimento alla violenza maschile, diretta o indiretta, volontaria o involontaria, che le donne iniziano ad affrontare sin dall’infanzia.
Cagna ci pone delle domande fondamentali: cosa significa essere una donna? Come possiamo affrontare gli stereotipi di genere, le pressioni sociali, abusi subiti o autoinflitti? Come riappropriarci di un corpo sporcato da secoli di oppressione, ormai in frantumi?
Non dà però nessuna risposta, solo un silenzio di assordante consapevolezza: la consapevolezza che il grido, le voce e le storie delle donne descritte, sono anche le nostre storie. E che è il momento di dargli voce.