Caccia all’Omo. Viaggio nel paese dell’omofobia
by Alessia Dulbecco / Giugno 26, 2020
All’inizio di giugno, in pieno Pridemonth, la CEI ha voluto esprimere la propria opinione in merito al Ddl “in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere”, a firma del Deputato Zan, approdato in Commissione Giustizia ad ottobre 2019.
Secondo la Confederazione dei Vescovi, nell’ordinamento giuridico del nostro paese sono già presenti una serie di misure volte al contrasto e alla prevenzione di qualsiasi comportamento violento o persecutorio che – ricordano – abbia a che fare con la violazione dei diritti umani e pertanto dovrebbe riguardare chiunque e non esclusivamente una categoria.
Ho scelto di rileggere il comunicato della CEI dopo aver trascorso la serata seguendo l’inchiesta di Simone Alliva, giornalista de l’Espresso che ha da poco pubblicato per Fandango “Caccia all’omo. Viaggio nel paese dell’omofobia”, in cui raccoglie e approfondisce i molti casi raccontati negli ultimi anni attraverso le pagine del settimanale.
Il quadro che Alliva tratteggia attraverso dati, interviste e riflessioni personali differisce completamente dalla situazione descritta dai vescovi. L’omofobia esiste e non può essere ignorata.
Basta osservare i dati: il giornalista ricorda che, solo nel 2019, i casi segnalati sono stati più di duecento. I numeri, fa notare, sono aumentati in maniera sproporzionata in particolare in seguito alle elezioni politiche del 2018, data che ha riportato indietro le lancette delle nostre conquiste civili.
La violenza ai danni di persone gay, lesbiche, trans e non binary segue uno schema preciso e non ha niente a che vedere con lo scontro fortuito. Le aggressioni seguono un climax preciso passando dall’individuazione del bersaglio fino all’insulto, arrivando anche alla violenza fisica.
Inoltre, si sviluppano a macchia di leopardo: nell’inchiesta nessun luogo, da nord a sud, risulta escluso da questa forma di violenza.
Alliva conduce un’indagine accurata in cui ai numeri associa le parole. Sono quelle di Ale, messo fuori di casa dalla sua civilissima famiglia, a Milano, il giorno dopo aver compiuto diciotto anni: «mio padre, quando ha scoperto che sono transgender, mi ha messo la valigia davanti alla porta», o quella di Eugenio, professore di religione cinquantenne, che dopo la morte dell’anziana madre ha cominciato a subire pesanti aggressioni per mano del fratello a causa del suo orientamento sessuale, per giunta mai dichiarato apertamente.
È un volume molto duro, quello del giornalista, perché ci conduce per mano nel paese reale, quello che apparentemente non esiste. Sono in molti a sostenere che non vi siano motivi per richiedere una legge contro il reato di omolesbobitransofobia perché questo problema non esiste veramente. Le persone omosessuali sono accolte, hanno diritto di parola, ci viene detto ogni giorno.
Peccato che l’accoglienza sia spesso solo una forma di tolleranza malcelata, ottenuta a costo dell’invisibilità personale e sociale delle persone coinvolte. È quanto accaduto a Erika e Martina – due ventenni di Arona – che, dopo aver postato sui social la foto di un loro bacio, hanno ricevuto valanghe di insulti a suon di “ma era necessario mettere la foto? Fate schifo!”. È una forma di violenza fortissima, perché significa legittimare la vita di una persona solo fin quando è disposta a nascondersi.
Il caso forse più emblematico raccontato dal giornalista è la storia di Angelo e Andrea. Vivono a Grezzana, in provincia di Verona e sono proprietari di un’impresa edile, che inizia a perdere gran parte di appalti e commissioni dopo il matrimonio civile e il coming out. Subiscono una serie di aggressioni, la prima nella centralissima piazza Bra del capoluogo veneto, senza mai ricevere sostegno nonostante le numerose denunce. L’ultima violenza è la più grave: di notte, un gruppo aggredisce Andrea in giardino (rischierà di perdere un occhio) e inizia a cospargere con trenta litri di benzina il vialetto fino alla porta di casa. Su questo fatto, il Sindaco Sboarina – avvocato cattolicissimo tanto da essere soprannominato “il sindaco chierichetto” – si è espresso con un silente “no comment”.
L’odio è diventato, secondo l’autore, una sorta di collante sociale amplificato dai social e dagli haters che li abitano. Non c’è confine, però, tra ciò che accade online e ciò che si verifica nella realtà: i due sistemi si compenetrano, ci dice Alliva, e l’aggressione fisica è sostenuta proprio dal clima che si è venuto a creare. Per questo motivo, sbaglia chi pensa che l’omofobia sia un’emergenza: è un veleno che scorre a fiotti nella pelle delle persone che la abitano.
Per questo una legge è doverosa, unita ad un “antidoto” culturale composto da informazione, educazione e promozione di narrazioni alternative che, agendo come uno specchio, possano mettere tutt* nella condizione di capire cosa significhi vivere temendo costantemente per la propria vita.
Sintetico e tagliente. Complimenti!